ALLEGRI, GENTE... CHE DISGRAZIA!

Teatro di Oleggio - 11 febbraio 2010

compagnia Cacao

Nel 1983 un gruppo di giovani oleggesi si organizzò per fare teatro. Il titolo della commedia? Proprio “Allegri, gente… che disgrazia!”, che ora viene riproposta interamente riscritta.
La compagnia ebbe durata breve, ma il seme era stato gettato. Da allora di teatro a Oleggio se n’è visto tanto: bambini delle scuole elementari e medie, giovanissimi, diversamente abili, anziani del centro d’incontro… decine e decine di spettacoli prodotti in loco.

Le prime esperienze teatrali del Centro d’Incontro risalgono alla fine degli anni Ottanta. Da allora si sono succeduti animatori e registi e il gruppo originario di soli anziani si è evoluto in un gruppo misto che accoglie… tutti, ma davvero tutti.

La compagnia “Cacao” è probabilmente unica nel suo genere. Attualmente è costituita da ventun persone dai nove agli ottantatré anni. Le difficoltà che tale compagine presenta sono notevoli, a partire dalla stesura del testo fino alla sua memorizzazione e alla resa espressiva. Tuttavia, anche quest’anno si è riusciti nell’impresa di mettere in scena un’opera piuttosto complessa.

È innegabile come questo gruppo di teatro rappresenti una festa tra età ed esperienze molto diverse.
Occuparsi di recitazione diventa quindi un’occasione d’incontri straordinari, in un mondo massificato dove i rapporti si fanno sempre più superficiali.

Cacao, in conclusione, non è solo teatro.
È un esempio, un’occasione, una risorsa da preservare.
Le vicende legate al Pirin, la maschera di Oleggio, sono liberamente interpretate a partire dalla leggenda che racconta come il popolano avesse tentato di eliminare il tiranno Bernabò Visconti con un piatto di “tapitt”, tipici dolcetti di carnevale, avvelenati.
S’immagina che l’azione si svolga nel febbraio del 1363, quando il legato papale Adelmoz (deformazione di Albornoz, il cardinale morto invece nel 1367) viene assassinato proprio sulla soglia della casa del Pirin, che viene arrestato e condannato a morte.
Rimangono sullo sfondo gli intrighi politici tra il ducato di Milano, lo Stato della Chiesa e la Repubblica di Venezia. Il pubblico è invece invitato a seguire le vicissitudini legate all’arresto del Pirin.
La scena si anima di figure del borgo, dall’ortolana alla masca, dalla panettiera alle mogli di commercianti e artigiani; e anche di figure della nobiltà, responsabili o vittime di complotti e tradimenti.
La scenografia è volutamente astratta: pannelli che sottolineano l’atmosfera dell’ambientazione (realizzati da Gianna Cannaos), alcune pedane di legno e pochi oggetti.
L’attenzione si concentra quindi sui costumi forniti dal Comitato della Corsa della Torta, fedeli copie degli originali del ’300.
Le musiche sono di autori dei secoli Diciassettesimo e Diciottesimo: Purcell, Vivaldi, Zelenka.

Il contributo di Gianna Cannaos sulle sue scenografie di
"Allegri, gente... che disgrazia!"

Giocare con l’arte.

Con l’arte ci gioco da sempre, ed è “per gioco” che negli ultimi due anni ho voluto rendermi disponibile a realizzare la scenografia di alcuni spettacoli che Aquilino ha messo in scena con i gruppi teatrali del nostro paese.

Senza dubbio cercavo uno spazio di riflessione fra me e me, un tempo che mi servisse per sperimentare alcune fra le tante suggestioni raccolte sull’arte negli ultimi due o tre anni, ma che nel contempo generasse qualcosa che potesse servire a qualcuno; insomma, un prodotto che uscisse dal mio mondo interiore e che potesse interagire con la realtà.

Vi presento le scenografie di “Allegri, gente… che disgrazia!”

La scelta è stata quella di realizzare semplicemente degli sfondi alle vicende narrate, senza alcun riferimento figurativo. Da subito si è pensato di utilizzare materiali che evocassero alcuni ambienti della vicenda: la casa del Pirin, la piazza, l’antro della Masca e la prigione.
Quali materiali? Quali suggestioni compositive?

Abbiamo optato per materiali moderni, che facessero contrasto con l’ambientazione “antica”della narrazione messa in scena, affinché il contrasto generasse quel leggero straniamento, quella nota dissonante che già tiene all’erta lo spettatore sulla visione dello spettacolo.
Ci sarebbe piaciuto utilizzare la discarica come principale risorsa, ma ci siamo fatti scoraggiare dai comprensibili ostacoli di tipo organizzativo e burocratico.

Da questo punto di partenza, abbiamo proceduto per libere associazioni artistiche e materiche.
La povertà della casa del popolano ha evocato i sacchi di iuta delle cascine della nostra zona: abbiamo avuto fortuna, ormai i vecchi sacchi di una volta sono stati sostituiti quasi completamente dalle plastiche riciclabili e dalle rafie sintetiche, ma un premuroso agricoltore oleggese si è ricordato di un piccolo avanzo ed il giorno dopo i sacchi erano miei. Quei sacchi mi hanno ricordato quelli più famosi di Burri , così ho giocato a intagliare, a sporcare e a lustrare la iuta, ad applicare strati di carta da pacco spiegazzata e strappata e toppe, senza troppo pensarci su!

Il cielo evocava leggerezza, trasparenza e sospensione: ci è sembrato che i teli di plastica di diverso peso sarebbero potuti essere un ottimo veicolo per trasmettere quelle sensazioni. Ho cercato di enfatizzare le caratteristiche del materiale arrotolando e pinzando agglomerati di cellophan in finte nuvole…

Per la prigione lo spunto principale viene dalle prigioni di Palazzo Reale a Genova, da poco riaperte al pubblico. Se vi capita, fareste bene a farci una visitina. Vi si vedono i graffiti dei prigionieri, molti dei quali denotano un vero talento; e si leggono inquietanti pensieri che esprimono con efficacia i sentimenti e le condizioni di sopravvivenza.


Nel cercare un linguaggio per esprimere quest’intenzione, il mio pensiero è corso a Basquiat e alle sue opere, così ne ho preso ispirazione per la prigione del Pirin.

L’antro della Masca mi ha costretto a cambiare idea molte volte. Infine, con un attrezzo che non conoscevo e che consente di scaldare superfici ad alta temperatura, ho sciolto plastica su plastica per disegnare moderne ragnatele. Mi è sembrato sufficiente, in quanto a forza espressiva.

Approfitto dell’occasione per ringraziare Mariuccia Zanaboni, Doriana Massarotto, Elena Bottiani e Silvia Valentini per il loro preziosissimo aiuto.

GIANNA CANNAOS