"Death watch - Pane e lacrime"
Ed. Lampi di stampa 2012, pagine. 41
Vincitore narrativa inedita Premio Lago Gerundo di Paullo.
L'introduzione:
State per leggere un testo di teatro, un monologo.
A volte monologhi già rodati, arricchiti dalle improvvisazioni dell’attore,
diventano prosa. E su questo non c’è niente da dire.
Ma capita che si utilizzino pagine di prosa per mettere in scena monologhi.
In questo caso, non è raro che lo spettatore rimpianga il ruolo di
lettore, quando la velocità di assimilazione e godimento dell’oggetto
artistico dipende solo dalla sua tecnica (un po’ come guardare un film
noiosino registrato, il telecomando si rivela prezioso).
Lo scrittore di prosa, in un soliloquio, di solito si concentra su: suggestioni
ambientali e paesaggistiche, ricordi, progetti, autoanalisi, messa a fuoco
di emozioni e sentimenti. Tutto questo può essere dirottato su un palcoscenico
e diventare spettacolare (non arricciate il naso, il termine “spettacolare”
suona volgare, ma rende l’idea; il teatro è spettacolo, piacere
intellettuale, emotivo e sensoriale)? Sì, certo, ma il rischio è
che la drammaturgia abbia un forte sapore di letteratura e lo spettatore può
avere l’impressione di essersi accomodato nel ristorante sbagliato.
Se leggere un libro è un’esperienza diversa dall’andare
a teatro, anche la scrittura di un monologo si differenzia a seconda che si
pensi a un racconto in prosa o a un allestimento teatrale.
Il prosatore si riferisce generalmente al lettore non tanto come persona fisica,
bensì come mente e cuore.
Il referente del drammaturgo è il pubblico considerato nella sua fisicità:
un gruppo di persone che manifesta in modo visibile le emozioni con mimiche
facciali, applausi, brontolii, schiamazzi. Lo scrittore in prosa si affida
alla propria sensibilità letteraria per amalgamare efficacia narrativa
ed estetica, concedendo alla parola spazi ampi e modellandola da protagonista
unico dell’evento artistico.
L’autore di teatro mette al centro della creatività una “drammaturgia
della misura” che più che esaltare la parola sembra sacrificarla.
Egli sa che lo spettatore, fruitore in mente e corpo, non ha il tempo e gli
strumenti per assimilare letteratura; egli assiste/partecipa con una sinestesia
che fonde comprensione, emozione, messaggio, visione, ascolto.
Il drammaturgo non descrive il personaggio, ma è il personaggio. Non
si annulla in lui, altrimenti non ci sarebbe più lo sguardo distaccato
e produttivo dell’artista. L’autore diventa il personaggio rimanendo
sé stesso e da questa simbiosi nasce la partecipazione emotiva alla
storia.
Non descrive il personaggio anche perché è destinato a essere
interpretato da una serie di attori diversi. Ogni personaggio di teatro nasce
senza fisionomia e ne assume mille nel corso delle rappresentazioni. Esso
è uno e molteplice (pirandelliano).
Il drammaturgo non simula il personaggio nel suo habitat.
Il monologo non è un documentario, racconta una storia e tutto, dall’ambientazione
allo scorrere del tempo, si sottomette all’efficacia della narrazione
rappresentata. Il drammaturgo non dimentica mai che sta scrivendo per il teatro
e che il suo personaggio vive su un palcoscenico. La drammaturgia misura la
parola affinché non prenda il sopravvento sulla “teatralità”
e inoltre si misura con lo spazio e le risorse tecniche dei luoghi di rappresentazione.
Il drammaturgo sa che la parola teatralizzata suggerisce e suggestiona, accenna
e stimola, e soprattutto fa sintesi. Misura, sintesi, condensare nel tempo
e nello spazio grandi cose.
Sa pure che la parola, quando si ritira, lascia la ribalta alla musica, ai
suoni, alle pantomime, alle luci, ai colori, ai silenzi…
Il monologo che state per leggere non dev’essere rappresentato per forza
da un solo attore. Io lo metto in scena con un gruppo di ragazzi. Le voci
narranti si alternano, sostenute da cori, azioni mimiche, musiche e rumori.
Il monologo si trasforma in dramma.
E voi? Come lo “visualizzate”? Questo è il teatro. Teatro
Panico. Sorprende. Proteiforme.
Buona lettura.