Nel 1212, in una prioria a sud di Chartres, all’oblato dodicenne Stefano appare Gesù. Gli affida una missione: portare una lettera al re di Francia affinché s’impegni a liberare i luoghi santi. Ma il re se ne lava le mani e la Chiesa sconfessa l’oblato e il monaco che lo scorta, Leone.

A Stefano non rimane che partire per Gerusalemme. Dietro di lui cammina un popolo di bambini contro cui si accaniscono gli armati dei vescovi.
A Marsiglia si aprirà il mare davanti a loro? O dovranno andare fino a Roma? E poi magari scendere a Brindisi, porto dal quale salpano le navi dei crociati?

Per il monaco Leone il viaggio è una seconda drammatica rivelazione: la sua fede si scontra con il mondo.


ALCUNI PASSI

 

“Dopo il maggio piovoso, giugno si rivestì d’oro. Le messi erano alte e dritte, nessuna brezza le incurvava. Piegavano il capo solo per il peso della spiga. Ringraziano Dio, pensai, perché ha gonfiato i loro chicchi.
Spostai lo sguardo sulla fioritura dei soffioni che rendeva stellati i campi. Avevo mandato Stefano a raccoglierne una cesta. “Ti ho portato i tuoi denti, Leone!” mi avrebbe gridato ridendo. Ormai aveva dodici anni, il mio trovatello. Non credeva più che il semplice contatto con il fiore potesse fare orinare nel letto durante il sonno. Lo raccontava ai piccoli, però, per tenerli lontani dai cespi. Quando poi sarebbero spuntati i globi di semi, allora tutti avrebbero potuto soffiarci sopra.
Io, in verità, che mi chiamavo Leone ed ero uno dei monaci di Cloyes, non sapevo che farmene della cicoria selvatica, ma mi faceva piacere che Stefano la portasse a me. Ne facevo dono a Onorio che avrebbe preparato marmellate con i fiori, insalate con le foglie e polveri medicinali o infusi con le radici.
Che un monaco desiderasse la compagnia di un fanciullo non era certo benvisto dal priore Pietro. Io pregavo il Signore che mi perdonasse la follia di sentirmi quasi padre e facevo penitenze a dismisura. Sapevo di imbrogliare. Pregavo e mi imponevo rinunce per farmi perdonare anche i peccati che non avevo ancora commesso. Pensare a Stefano era già un peccato, e quindi ogni notte mi obbligavo a un’ora supplementare di orazioni.
Che c’era di male? Lo sapevo: ai monaci non erano concessi affetti terreni. Cuore, mente e corpo appartenevano a Dio. Mi sforzavo di stare il meno possibile in sua compagnia, ma era una tale gioia quando correva da me e mi raccontava le avventure del giorno!

“Che cosa c’è, Stefano?” gli domandai.
Stefano sembrò esplodere. Mi si avventò contro e mi circondò con le braccia stringendomi forte.
Onorio e Tommaso si scambiarono uno sguardo perplesso, e poi diressero altrove gli occhi per non sottolineare l’imbarazzo che mi causava l’intenso contatto fisico. Stefano non era solito comportarsi così. Lo staccai da me e mormorai:
“Mettiti seduto e raccontaci tutto.”
Ma Stefano non poteva sedersi, era troppo agitato. Fece girare lo sguardo su tutti e tre e disse, con voce tremante:
“Ho visto Gesù.”
La prima cosa che feci fu di controllare che Pietro non ci stesse spiando da lontano. Quindi tirai da parte Tommaso e gli sussurrai:
“Porta qui Severino, ma senza farti vedere da Pietro. Se invece lo incontrate e vi domanda dove andate, rispondi che vuoi che Severino veda un pesce che non conosci.”
Con la coda dell’occhio scorsi Onorio storcere la bocca.
“Non lo stiamo ingannando” lo rassicurai, “ma lo teniamo lontano da un’agitazione eccessiva. Ricordi che cosa ha detto Severino? Di non lasciare che il sangue gli si scaldi, altrimenti rischia di nuovo di morire.”
“Ricordo, sì” borbottò Onorio.
“Andiamo tra le betulle, così Stefano non avrà più la testa al sole.”
Stefano si morse il labbro per l’impazienza, ma non fece obiezione e ci seguì. Si sedette sull’erba di fronte a me e a Onorio.
“Ora puoi raccontarci tutto” dissi.
E Stefano raccontò.
Lo fece con tale passione che alla fine eravamo frastornati, ma anche eccitati. Che cosa c’era di vero nelle sue parole? Anzi: che cosa c’era di falso?
Tutti e due avevamo risentito della potenza della narrazione e volevamo credere con tutta l’anima che dalle nubi fosse davvero sceso Cristo in persona.
Ma… un miracolo a Cloyes, con Chartres tanto vicina?


Eh, il vescovo Rinaldo… Quant’era stato furbo a inventare il miracolo del Velo della Vergine! Era un telo lungo cinque metri regalato a Carlomagno dall’imperatore di Costantinopoli.
Giacomo non l’aveva bevuta, quella storia dei tre monaci rifugiatisi nella cripta durante l’incendio e riapparsi tre giorni dopo con il Velo integro. Non avevano nemmeno una scottatura! E la reliquia? La Sancta Camisia, com’era chiamato il velo, era sicuramentre bruciata, ma il vescovo ne aveva fatta filare in fretta e furia una copia dalle monache. E la gente sospirò con gli occhi bassi, quando si sentì chiedere sempre più soldi, ma li cavò fuori per pagarsi il paradiso.
Giacomo, quel giorno, era pensieroso perché sulla pietra avrebbe scolpito proprio quell’episodio, che ormai era considerato il miracolo del Velo. Ma le sue intenzioni non erano così pure come il vescovo si sarebbe aspettato da un operaio di Dio. Avrebbe raffigurato cristiani tra le fiamme dell’incendio, ma erano cristiani che stringevano al petto soldi e ori; e il diavolo aveva la mitria, seppure mascherata da corna e criniera ricciuta; e in cielo pose la Vergine Nera che i Druidi avevano scolpito in legno di pero, come gliel’aveva descritta suo padre.
Quello, gli aveva detto, era un luogo sacro dei Celti e i monaci ci avevano edificato sopra una chiesa dopo l’altra per purificarlo, senza però mai riuscirci del tutto.
Infatti, gli antichi culti vivevano ancora e Giacomo lo sapeva bene. Lui, sua moglie e alcuni amici si riunivano per pregare a modo loro, in una lingua che sopravviveva solo nella clandestinità.
Era pensieroso perché ancora una volta avrebbe sfidato il papa e il re. Se avessero saputo che cosa veramente lui scolpiva, lo avrebbero subito condannato a morte. Ma lui aveva spesso ricevuto gli elogi del vescovo: bravo, Giacomo, anche se un po’ troppo originale. Contava sulla buona fama di cui godeva. Chi mai avrebbe voluto fare del male a Giacomo Brunisson, lo scultore che Chartres prestava a città lontane dove si costruivano altre cattedrali su altri luoghi di culto pagani?
Lui ci andava e insegnava non solo il proprio mestiere, ma anche la sua seconda fede che conviveva in pace con il credo cristiano.


Davanti a tutti si sistemò il vescovo.
Era abbigliato come un principe e come un imperatore era ricoperto d’oro. Stringeva nelle mani una croce d’argento con incastonate decine di gemme multicolori. Volarono riflessi in ogni direzione. La levò alta con un certo sforzo: la croce era pesante e lui era flaccido e ansimante. Il coro di monaci completò l’ultimo versetto.
In quale silenzio sprofondammo tutti!
La moltitudine si mantenne ordinata nonostante la calca. Mi sembrò quasi di sentire il battito dei cuori. Più che il canto dei monaci, i cuori delle persone esprimevano il più profondo desiderio di cose buone e giuste.
Nessuno dei personaggi potenti che ci stavano intorno manifestò la minima emozione. Tennero tutti lo sguardo fisso davanti a sé, l’espressione fiera e sprezzante. Nel mio animo, invece, si susseguirono emozioni tanto forti che il sudore mi prese a scorrere in rivoli gelidi lungo la schiena.
“In nomine patris et filii et…” cominciò a recitare il vescovo disegnando in aria il simbolo della fede con la mano destra, dopo avere consegnato la croce a un diacono. Tutti si segnarono e chinarono il capo.
“Non dobbiamo pensare che il diavolo ci si presenti nelle sue forme più schifose e spaventose. Esso è il signore della furbizia, ricordiamocelo. Con quali aspetti seducenti viene a noi! Abbiamo accolto la richiesta del re di indagare su questo cammino di pueri che proclamano l’invito divino di recarsi a Gerusalemme.
Vi ricordo che il papa stesso ha spronato i sovrani a riportare la Vera Croce nella santa sede di Roma. Dio ne ha già parlato con il papa. Gli ha già rivelato i propri piani per la liberazione del Santo Sepolcro. Come potrebbe il Signore Dio Nostro palesarsi al papa con richieste chiare e poi indirizzare a un fanciullo altre richieste? Pensate forse che Dio voglia prendersi gioco del suo popolo e del suo vicario in terra?
Noi abbiamo esaminato la lettera che il fanciullo ha portato dal suo borgo e abbiamo consultato le Sacre Scritture e le sante parole del nostro pontefice. Non esiste alcuna possibilità che la lettera esprima la volontà divina. Non può essere vero che Gesù sia apparso al fanciullo. Non lo accusiamo, però, di essere un mentitore.
Invece, riteniamo che Satana in persona abbia ordito questo inganno per indebolire la chiesa che esso odia e che vorrebbe distruggere.
E allora vi dico: non ascoltate il diavolo! non cedete alle sue tentazioni! non cadete in errore! L’unica vera guida è la chiesa e la chiesa comanda che questo cammino abbia termine qui, prima che precipiti nelle fiamme dell’inferno.
Ognuno ritorni donde è venuto e preghi per la propria anima e per il peccato commesso credendo alle parole di un fanciullo innocente e ingenuo ingannato dall’empio Lucifero.”
Peggio di una sentenza di morte.
Nessuna parola su di me. Ma non era necessario. Ero un monaco che aveva tradito i voti. Mi ero messo contro la chiesa, dalla parte del diavolo. Quale penitenza avrei dovuto affrontare per tornare nella grazia di Dio? Oppure per me non c’era più salvezza?


Non potevamo risalirle di corsa, l’erta avrebbe rallentato il passo e in breve la fatica ci avrebbe fermati. Non potevamo tornare indietro, perché un altro stuolo di diavoli apparve alle nostre spalle. Potemmo solo correre dritti davanti a noi, sempre più lontano da Troyes, sempre troppo vicini alla furia degli assassini.
Chi li comandava? Un uomo dritto sul proprio destriero. Se n’era rimasto là sul poggio, da dove contemplava immobile il nostro terrore.
Quando lo scorsi, mi fermai un attimo, stordito dalla visione. Indossava la veste di maglia, e di maglia di ferro erano ricoperti i piedi, le mani e la testa. Parabracci, cubitiere e alette di cuoio, insieme alla cotta imbottita, lo rendevano simile a un demone della guerra; o forse solo a un insetto mostruoso.
Sopra l’elmo a pentolaccia risaltava la mitria vescovile bianca bordata d’oro.
Non era una lancia, quella che impugnava. Era una croce tesa dritta contro il cielo.
Mi salì alla bocca un conato di vomito. Quello era il vescovo, il rappresentante del papa, a sua volta rappresentante di Dio in terra. Quasi caddi al suolo, la mente di colpo svuotata, il mondo una vertigine vorticosa. Fu Folchetto a spingermi avanti.
“Corri!” mi gridò.
Stefano! fu anche quel pensiero a strapparmi dall’incubo. Gridando il suo nome, ripresi a correre mentre già i primi cavalieri fendevano la massa di pueri, indifferenti alla carneficina causata dagli zoccoli dei loro cavalli.
Mietitori di morte benedetti dal vescovo.
Che cosa potevo fare contro di loro? Gridavo e piangevo e correvo e niente di quello che succedeva intorno però mi sfuggiva, proprio quando avrei voluto diventare cieco e sordo: nessun cuore umano poteva sopportare a lungo tanta malvagità.
Che fare quando vidi una giovane rotolare a terra con il proprio bimbo di pochi mesi stretto tra le braccia? Mi rivoltai come una furia contro il diavolo che incitava il cavallo su di lei, ma ottenni solo di essere abbattuto da un colpo di spada che per mia fortuna mi colpì di piatto.
E quando scorsi cinque pueri dei più piccoli stringersi gli uni contro gli altri, inginocchiati tra gli schizzi di terra sollevati dai cavalli scatenati, che fare contro la lancia che li trafisse?
Mi ritrovai nel centro dell’inferno ed era l’inferno vero, non quello predicato nelle piazze contro chi disobbediva ai precetti o attaccava la chiesa nei suoi beni terreni. L’inferno vero della disperazione e del dolore senza fine, dell’impotenza che annichiliva la mente e del terrore che spezzava le gambe e stringeva il cuore in un pugno di ferro.
I pueri dilagarono oltre l’avvallamento e si sparsero in ogni direzione, proprio come aveva programmato il mandante dell’eccidio, l’anticristo che rimase a osservare senza battere ciglio.
Poteva essere orgoglioso delle proprie azioni, lui che aveva già partecipato a una guerra santa, perché un’altra se l’era procacciata da sé, contro bambini e bambine di nessuna colpa, del tutto inermi, figli prediletti di Dio, amati da Gesù, santi innocenti.
La sera avrebbe reso grazie a Dio per avere concesso a lui l’onore di avere disperso il cammino eretico degli stolti pueri.
Perché il vescovo non chiamò anche me a testimoniare nella sua cattedrale? Lui a rendere grazie a Dio, io a gridare: perché? perché, Signore Nostro Giusto e Misericordioso?
I pueri si rannicchiarono nelle buche, gattonarono su per la collina come leprotti in fuga disperata, si fermarono annichiliti e levarono alte le braccia in segno di resa… si inginocchiarono e giunsero le mani… ma niente servì a niente e la strage degli innocenti proseguì irrorando di sangue i fiori selvatici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

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